La storia sulla scoperta delle proprietà del caffè e della sua diffusione in tutto il mondo è una della più affascinanti e curiose cose che si conoscano.
Tra leggende più o meno verosimili, ciò che possiamo sostenere con sufficiente fondamento, è che la sua patria d’origine fu l’Etiopia, e più precisamente la regione di Kaffa; da qui attorno al XIV secolo conobbe le terre dello Yemen dove prosperò rigogliosamente.
Data la politica restrittiva condotta dagli Arabi, i quali non volevano diffondere i vantaggi derivanti dalla scoperta di un mezzo che li liberava in pochi minuti dalla stanchezza, per un lungo periodo, nessun seme fertile riuscì a varcare i confini dello stato.
Finchè nel 1616, con l’espansione del commercio via mare, attraverso il grande porto di Mocha, il quale era sicuramente uno dei più trafficati, il caffè fu portato in ogni direzione: iniziava la sua marcia trionfale nel mondo.
La parola araba “qahwa”, in origine, identificava una bevanda prodotta dal succo estratto da alcuni semi che veniva consumata come liquido rosso scuro, il quale, bevuto, provocava effetti eccitanti e stimolanti, tanto da essere utilizzato anche in qualità di medicinale.
Dal termine “qahwa” si passò alla parola turca “qahvè” attraverso un progressivamente restringimento di significato,parola tradotta in italiano con “caffé”. Questa derivazione è contestata da quanti sostengono che il termine caffé derivi dal nome della regione in cui questa pianta cresceva spontaneamente, ossia “Caffa” in Etiopia.
Per una tostatura artigianale (ovvero “fatta in casa”) dei chicchi di caffè, i consigli sono molti, uno, per esempio, è quello di usare la legna anziché il carbone, per regolare meglio il calore.
Quando il caffè comincia a crepitare e far fumo, va scosso spesso il tostino mentre si deve aver cura di levarlo appena ha preso il colore castano-bruno e prima che emetta l’olio (a Firenze, in tempi antichi, per arrestarne subito la combustione lo si distendeva all’aria aperta); pessima sarebbe invece l’usanza di chiuderlo fra due piatti, perché in questo modo potrebbe appunto diffondere l’olio essenziale, con susseguente perdita dell’aroma (va detto che il caffé perde nella tostatura il 20 per cento del suo peso, cosicché di 500 g ne rimangono circa 400).
Così come diverse qualità di carne fanno il brodo migliore, così da diverse qualità di caffè, tostate separatamente, si ottiene un aroma più grato.
Alcuni consigliano di tostarne poco per volta e conservarlo in vaso di metallo ben chiuso, macinando via via quel tanto che necessita, perché perde facilmente il profumo. Una permanenza di 2 o 3 settimane a temperatura ambiente e a contatto dell’aria dei chicchi, è sufficiente per alterare fortemente il gusto della bevanda, dovuto al processo di irrancidimento dell’olio contenuto, e nel caso dell’espresso, la quasi assenza in tazzina, della crema in superficie.